domenica 24 ottobre 2010

App-generation: il futuro di internet?

Ho scritto questa mail a Riccardo Luna il giorno 12 ottobre 2010. Oggi la pubblico on-line per sapere cosa ne pensate, e perché, viste le recenti notizie sui nuovi sistemi operativi credo sia particolarmente attuale. Il Direttore di Wired mi ha cordialmente risposto il 13 ottobre 2010 comunicandomi che trovava lo spunto interessante (mi scuso con lui se ho reso pubblica questa lettera e la sua replica), ma sarei felice se qualcuno volesse dirmi cosa ne pensa.

Gentile direttore,

o come preferisce Dir, come molti in luglio ho letto l'articolo di Wired U.S. (oggi tradotto da Wired Italia e, come Lei ha sottolineato, pubblicato sul Sole 24 Ore). Un articolo interessante, anche se nel “vecchio” web già da qualche tempo si parlava del futuro di internet e di quale forma la comunicazione attraverso questa infrastruttura assumerà nei prossimi anni. L'It, information technology, in fondo, è solo l'organizzazione dell'informazione, intesa come codici binari, attraverso la quale oggi fruiamo di pacchetti applicativi come i giochi, i word processor, gli strumenti di calcolo e tante altre belle cose che fanno i computer. Riguardo alle tesi dell'articolo non ho nulla da obiettare, quella descritta da Chris Anderson è una conclusione logica e probabilmente si tratta del futuro che ci attende (ammesso che non ci siano ulteriori stravolgimenti o nuove formule di business sostenibili). Tuttavia è un futuro che mi inquieta. Da qualche tempo, in rete e non solo si parla di altro se non dei nativi digitali. Oggi tutti hanno scoperto che c'è una generazione che è nata con internet, o meglio, in rete. La scoperta dell'acqua calda mi viene da pensare, ma in realtà i nativi digitali, così come i migranti sono forse già l'ultimo esempio di una specie in via di estinzione. Come molti della mia generazione sono una via di mezzo tra un nativo e un migrante, nato nel '76 ho iniziato a navigare appena internet è sbarcato in Italia, ho aperto il primo sito con alcuni amici nel '97, il primo blog nel 2003 eccetera eccetera. Dopo di me (ma anche prima) altri si sono dedicati al web con tanta passione e il web è cresciuto, si è riempito di contenuti ed è vissuto in uno stato di semi-anarchia fino ai giorni d'oggi. Oggi internet sta mutando, se pensassi al mio lavoro direi finalmente (visto che, come Lei lavoro nell'editoria), verso una formula più redditizia, che consente modelli di sviluppo industriali e profitti per chi investe in questa straordinaria infrastruttura (come la definisce Paolo Ainio).
Il mio pensiero non può che correre al futuro e a ciò che applicazioni sempre più chiuse porteranno. Le chiamo ancora applicazioni, ma il mondo le chiama app e in questo termine si racchiude la formula del successo commerciale dell'informatica di domani. Se penso a un ragazzo nato negli ultimi cinque o sei anni il pensiero corre rapidamente a formulare un'ipotesi: chi è nato oggi non è un nativo digitale. La generazione del futuro crescerà utilizzando il computer come un aggregatore di applicazioni, né più né meno di un calcolatore dei primordi, con sistemi operativi non grafici in grado di lanciare programmi. La differenza è che oggi le applicazioni hanno una loro grafica, non richiedono la comprensione di alcun sistema operativo e sono molto intuitive. Il computer del futuro è un elettrodomestico, sia esso mobile o fisso, che potrà fare molte cose, certo, ma in cui ognuno sarà costretto ad essere un “esperto” di un singolo applicativo per il suo funzionamento, senza mai avere la percezione dell'intero sistema. La potenza del sistema farà sì che anche le interfacce dei desktop probabilmente cambieranno, saranno più intuitive e semplici (basti guardare alcune versioni di Linux semplificate per i netbook), ma il prezzo da pagare sarà l'incomprensione di tutto ciò che accade “dietro” i singoli programmi. Chi ha la fortuna di vivere in questo momento storico può comprendere cosa porterà questo cambiamento ma non è detto che avrà ancora una parte di controllo o capacità di giudizio, perché farà anche lui parte della app-generation. Ebbene sì, probabilmente tutti apparterremo alla app-generation, una generazione incapace di concepire il web, incapace di concepire gli astrusi meccanismi di una ricerca su quello che oggi è Google: ci sarà un app creata appositamente (scusi il gioco di parole) per cercare, ma cercare cosa? Altre app che avranno contenuti, o giochi, o informazioni di ogni genere, è il sistema industriale che abbiamo sempre sperimentato e che sappiamo funzionare: addio ai ciclostili e alle fanzine e benvenute riviste. I nativi digitali sono già vecchi perché faranno resistenza a un mondo in cui tutto si riduce a cliccare una singola icona, pochi nostalgici cercheranno ancora di comprendere cosa si nasconde “dietro” le applicazioni, ma alla fine rimarranno solo pochi esperti programmatori che gestiranno il funzionamento del sistema informatico. Va di moda, in questi casi (lo ha fatto anche Anderson) citare qualche esempio del passato che confermi la tendenza. Io non ho esempi da portare, potrei dire che l'automobile un tempo era complicata da utilizzare ma facile da riparare, mentre oggi è l'opposto, stessa cosa per la fotografia e quant'altro le venga in mente, ma non sono una persona contraria al progresso: le masse portano a semplificazione e per semplificare l'uso c'è bisogno di complicare la struttura a monte. Il punto è che oggi tutti si preoccupano di come si comportano i nativi digitali riguardo all'utilizzo di internet, del web, dei social network, ma non si ha la percezione o forse la lungimiranza di guardare avanti: la app-generation avrà modelli comportamentali completamente differenti e probabilmente non sarà composta solamente da giovani nati in questi anni. Proprio la semplificazione del modello farà sì che chiunque capirà le dinamiche di funzionamento delle applicazioni, così come non è esistita una lavatrice-generation o non si è parlato dei nativi-frullatori il computer diventerà un elettrodomestico e allora tutti saremo parte della app-generation.

lunedì 11 ottobre 2010

Forum Anes 2010 editoria trade: la carta non è morta

La premessa di questo articolo è che non sono stato fisicamente presente all'ultimo forum nazionale ANES 2010 "Il mestiere di editori tra carta e digitale". Nonostante questa mia mancanza, ho letto con attenzione tutte le presentazioni che sono state effettuate durante l'incontro pubblicate sul sito dell'ANES (i link a tutte le presentazioni sono in fondo a questo articolo) e invito chiunque sia interessato a dargli uno sguardo. Nel frattempo  ci sono alcuni aspetti che secondo il mio parere meritano un momento in più di riflessione per comprendere dove stia andando il settore dell'editoria trade e quali siano le prospettive per il futuro.

La carta non è morta
Il primo dato che mi è saltato all'occhio conferma ciò che ho scritto tante volte: l'editoria cartacea B2B è destinata a una vita più lunga rispetto agli altri mezzi di informazione cartacea. Nella fattispecie è stato uno studio di Price Waterhouse Cooper (d'ora in avanti PWC) ha mostrare come, nei prossimi anni, la raccolta pubblicitaria per le riviste tecniche sia destinata ad aumentare (anche se non con balzi da gigante). In particolare, dal 2012, si prevede un incremento positivo del fatturato, che prosegue un trend medio del 4% annuo tra il 2009 e il 2014.




Nella prima slide è evidente come il comparto risalga lentamente la china e raggiunga una certa "sostenibilità" a partire dal 2013.
Nella seconda slide presentata da PWC si può notare come nel 2014 la percentuale dei ricavi di società editrici B2B dovrebbe essere per il 20% proveniente dalla pubblicità digitale (che comprende, in questa accezione, il web, le app e tante altre cose). Il resto della presentazione sono cose relativamente note e vale la pena segnalare solamente una citazione del gruppo Reed Elsevier che mi vede perfettamente concorde: "la vera opportunità per gli editori è quella di scalare la catena del valore [...] integrando i contenuti nei processi core dei clienti". 

Gli editori, che confusione
Dal punto di vista degli editori B2B (ma anche B2C) associati ANES, invece, quello che emerge è una gran confusione sui modelli di business e sulle prospettive del settore. La presentazione di Mara Soldera vuole fare il punto sull'editoria specializzata e tecnica rispetto all'utilizzo di Internet (anche in questo caso analizzando sia il web, sia il mailing sia le app). Copiaincollare le varie torte sarebbe inutile (le trovate nel link in fondo al testo), ma quello che emerge è un panorama editoriale frammentato, in cui non c'è una linea di azione comune e tutti gli editori tentano strade differenti.

N.B. il giorno 12/10/2010 purtroppo l'Anes ha tolto dallo spazio pubblico le presentazioni, i link sottostanti sono pertanto non funzionanti. Mi scuso per il disagio.

Approfondimenti:


In evidenza:


mercoledì 26 maggio 2010

Dubbi sull'editoria web

Da un po' di tempo mi sto scontrando con un concetto di difficile comprensione e pericoloso per chi produce contenuti media o chi, comunque, vuole lavorare nel mondo on-line. Sia chiaro, non si tratta di nulla di particolarmente innovativo o degno di un “guru” di internet, ma di una semplice riflessione fatta da chi, ogni giorno, deve scontrarsi con numero di accessi, organizzazione di news, Seo e quant'altro.



Tutto parte dal marketing. Cioè, non proprio tutto, ma la mia problematica, sì. Fino ad oggi, infatti, il contenuto ha “sempre” trovato il proprio interlocutore: attraverso le campagne pubblicitarie televisive, che obbligavano a interrompere la visione di un programma, così come quelle per radio, che inframezzano canzoni e dibattiti, più nello specifico, i giornali, dove la pubblicità non interrompe niente, ma si è sicuri di essere visti da X utenti, oppure con il direct mailing (non quello elettronico, quello di carta, fatto di leaflet e volantini che intasano le nostre caselle postali in “ferro”). Tutte informazioni che delegavano l'utente o il consumatore o almeno, parlo per me, la persona a dover scegliere se leggere o no un'offerta, così come se restare sullo stesso canale o decidere di fare un po' di zapping.


Secondo Chis Andersen tutto questo ha a che fare con il principio della scarsità: tutti i media, prima di internet, erano “scarsi”, nel senso di limitati: un giornale è composto di pagine, le trasmissioni sono strutturate in unità di tempo eccetera, appartengono cioè al mondo degli “atomi”; che essendo composto di atomi è, appunto, limitato. Nel mondo di internet invece (il mondo dei “bit”) vige l'abbondanza: si può mettere tutto on-line, i costi di produzione possono essere anche nulli e tutti hanno tutto a disposizione. Il punto è che noi uomini siamo sempre fatti di atomi e quindi siamo limitati. In primo luogo nelle nostre scelte, poi c'è un fattore pigrizia che ci fa tendere ad essere ripetitivi ecetera eccetera.


Direte, “che c'azzecca”? Il fatto è che da sempre mi arrovello su una semplice considerazione: oggi tutti gli editori on-line pensano che l'unica soluzione dei media per sopravvivere nel web sia quella di attirare un traffico decente sulle proprie pagine per remunerare con la pubblicità (diretta o indiretta).

Per fare sì che gli utenti internet (vi prego, non internauti che fa pensare a un palombaro davanti a un monitor) giungano sulla nostra pagina si usano tecniche di Seo, Wom, social network... insomma si “spinge” un sito con le classiche tecniche del web marketing. Il punto, quindi, è un altro: ad essere scarso è il tempo.


Perché per quanto io possa stare collegato al pc (o al mac per i patiti, io comunque uso linux) la mole di informazione prodotta sarà sempre impossibile da tenere sotto controllo e le fonti di informazione saranno limitate per forza. Quindi il principio dell'abbondanza fa sì che io diventi abitudinario e consulti solo un certo numero di fonti per “farmi un idea”, salvo poi approfondire nel caso proprio l'argomento mi interessi.


Ma se guardo all'utilizzo di internet che faccio personalmente per leggere le news (ma anche cercare informazioni su un prodotto, o su una vacanza, o qualunque cosa faccia in internet) il mio tempo medio su un sito difficilmente supera il minuto e mezzo. Perchè? Perché in prevalenza leggo i titoli e, quando sono proprio in forma, leggo in diagonale. Lo so', non è bello che una persona lo dica, ma è così. Svolgendo la professione giornalistica, infatti, mi sono reso conto che internet è un po' come una redazione: arrivano tante notizie e si impara a filtrare con una rapida occhiata. Il punto, di nuovo, è che le informazioni in redazione arrivano da sole e già più o meno selezionate (molto meno che più), mentre sul web si cerca e si è comunque sovraesposti.


Se questa è la premessa come si può depositare il famoso leaflet promozionale nella “capoccia” dell'utente? Con la newsletter? Già troppe, ma comunque sarebbe già qualcosa (un po' come i volantini che lasciano sotto il parabrezza) se non fosse che bisogna prima convincere la gente a sottoscriverla. Con i Social network? Accessi unici senza ritorno, ammesso di creare un enorme buzz. Risultato? Non lo so'... era solo una riflessione cui non riesco a venire a capo.

martedì 9 marzo 2010

I quattro modelli dell'e-commerce

Nell'ambito del convegno internazioanle di POPAI Italia “Ordine & Extra – Vaganze 2010”, tenutosi il 4 e 5 marzo 2010, ho assistito a un interessante conferenza intitolata "E-tail Revolution - L’evoluzione virtuale di una relazione decisamente reale con il consumatore". L'incontro, moderato da Luca de Biase de il sole 24 Ore (nòva 100) ha visto tra i relatori Federico Rampolla, Accenture Interactive Italy Lead, Alessandro Leoni, responsaile E-commerce Mandarina Duck, Andreas Schmeilder Country Sales Manager Italia Vente Privée ed Edoardo Giorgetti, Responsabile E-commerce Gruppo Banzai. Se gli interventi di Rampolla, Leoni e Schmeilder hanno posto l'accento sulla complessità della gestione on-line del commercio, analizzando anche i casi della realtà italiana e di quella francese, vero colosso dell'e-commerce, è stato l'intervento di Giorgetti a portare un vero valore aggiunto all'incontro. Secondo Giorgetti l'e-commerce può essere suddiviso in quattro categorie divise per gamma di prodotti offerti e driver di acquisto del consumatore: una divisione insomma tra disponibilità dell'azienda e intenzioni del consumatore.
Di seguito la schematizzazione fatta da Giorgetti che mi scuserà se ho riprodotto in maniera così orripilante.


Analizziamo allora i quattro segmenti riportati nella tabella riportando anche alcuni esempi pratici (se volete segnalare anche altri siti indicandone il corretto inquadramento nei commenti li inserirò nel post).

Brand Store
Il produttore vende direttamente i propri prodotti. In questa categoria rientrano i siti aziendali, che possono contare su un ampio catalogo e mettono al centro della vendita il prodotto. Si tratta di un e-commerce verticale, in cui il produttore by-passa completamente la filiera distributiva e si rivolge direttamente al cliente finale.

Esempi

Private sales
Realizzato generalmente da aziende di distribuzione questa soluzione propone vendite scandite dal fattore tempo: un bene venduto a prezzo vantaggioso per un arco temporale ben delimitato. La leva prezzo è chiaramente un driver di acquisto, mentre i prodotti disponibili a catalogo sono selezionati di volta in volta.


Market place
Luogo di scambi per eccellenza il market place rappresenta i siti di scambio e vendita tra privati. Un luogo dove si incontra la long tail di prodotto (inteso come una gamma davvero estesa di prodotti) in cui il driver di acquisto è proprio la necessità del bene.

Esempi

Virtual reseller
Il negozio virtuale in cui trovare di tutto. Un progetto che si basa sull'acquisizione dei beni attraverso veri fornitori e una politica di vendita a basso prezzo. In questo caso si cerca di garantire il massimo di gamma per soddisfare tutte le richieste a un prezzo competitivo.

Esempi

Nonostante la classificazione sia particolarmente efficace rimangono irrisolte alcune tematiche appena accennate nel convegno: su tutti la conflittualità all'interno della filiera distributiva.

lunedì 1 marzo 2010

Editoria tecnica 2009: analisi dei dati di certificazione CSST delle riviste

Il CSST è l'organo che certifica la diffusione e la tiratura delle riviste a circolazione controllata. Nel mondo dell'editoria tecnica è forse il più importante strumento per comprendere quanto sia diffusa una testata. In questi giorni (marzo 2010) sono stati diramati i primi dati ufficiali relativi alla certificazione 2009. A breve tali dati saranno consultabili sul sito dell'ANES, ma nel frattempo è già possibile fare alcune valutazioni, specialmente se si comparano i dati del 2009 a quelli del 2008.
Un primo e indicativo segnale arriva dal numero di riviste certificate: dalle 187 del 2008 si è passati alle 128 del 2009 con una riduzione di ben 59 testate pari a un decremento di circa il 30%.
 
Un decremento che si registra anche nella tiratura media, che passa dalle 17.715 copie del 2008 alle 14.225 del 2009, con un decremento del 19,70%. 

Entrambi i dati sono in linea con quello che è, secondo molti, anche l'andamento del fatturato del comparto. Dall'analisi dei dati di certificazione, tuttavia emergono anche alcuni importanti cambiamenti per quanto riguarda la forza dei grandi gruppi editoriali di settore Italiani. Il primo e più eclatante è l'assenza, dai dati di certificazione, de Il Sole 24 Ore Business Media, parte del Gruppo 24 Ore, che sembra non aver certificato le proprie edizioni per il 2009 (sperando che non si tratti di un errore nella comunicazione della tabella CSST). Ricordo, a titolo di esempio, che il gruppo legato a Confindustria, nel 2008 aveva certificato alcune tra le più autorevoli riviste B2B come Bargiornale (che nel 2008 aveva garantito una tiratura di oltre 130.000 copie a numero e Mark-Up, con oltre 30.000 copie ad albo che nel corso del 2009 o dichirava la rivista in fase di certificazione). Una scelta forse legata alla recente presentazione del nuovo brand V24 del gruppo che riunirà tutte le riviste di settore. Più comprensibile il calo di riviste certificate da Reed Business, che delle 40 pubblicazioni del 2008, ne certifica "solo" 16. Il gruppo multinazionale ha, tuttavia, secondo le "solite e ben informate" voci, ceduto una buona parte delle proprie riviste a un altro editore, ragione per cui non avrebbe avuto senso certificare riviste che non si ha più intenzione di pubblicare. In contrazione il numero di testate certificate anche da Be.Ma, altro importante protagonista della comunicazione tecnica, che passa da 18 a 16 pubblicazioni; tuttavia, questa casa editrice, nel corso del 2009 ha operato anche alcune acquisizioni, ragion per cui è probabile aspettarsi per il 2010 un recupero. Ultimo, ma non ultimo per importanza, il gruppo Tecniche Nuove smette di certificare ben 17 riviste, passando dalle 36 del 2008 alle 19 del 2009.

Passando invece all'analisi degli editori certificati se ne vedono sparire 9, che erano presenti nella certificazione 2008 a fronte di 6 new entry nel 2009; un bilancio che deve tuttavia tenere conto anche di passaggi di editore e cambi di nome. 

Per fare qualche esercizio di stile, poi, si potrebbe valutare le tirature. In questo caso, è bene specificarlo, il CSST fornisce la tiratura media per singolo numero, e quindi non ci si può rifare all'effettivo numero di copie tirate in un anno. Tuttavia è carino notare come, prendendo ad esempio il primo numero dell'anno di ogni singola testata, nel 2008 si raggiungevano i 3.312.724 con una diffusione di circa 3.212.796. Praticamente oltre tre milioni di persone, avevano ricevuto almeno un numero di una rivista certificata, mentre nel 2009 il dato di tiratura crolla a 1.820.746 (la diffusione a 1.751.540) con un calo del 45,48%.

L'analisi è stata effettuata rielaborando i dati ufficiali del CSST. Invito pertanto chiunque volesse a segnalare eventuali errori (le modifiche saranno apportate immediatamente) mentre sempre gradito è un vostro commento nel merito della situazione.



domenica 10 gennaio 2010

Editoria tecnica: cos'é l'editoria B2b oggi

Un'inchiesta realizzata dall'ordine dei giornalisti della Lombardia fotografa la situazione dell'editoria tecnica e specializzata. Sull'ultimo numero del 2009 della rivista Tabloid potete trovare l'articolo (pagina 6 e seguenti) che consiglio di leggere a chiunque sia interessato all'argomento.

Riassumento la stampa tecnica e specializzata fattura circa 1,3 miliardi di euro in pubblicità (dato 2008) con oltre 8.000 dipendenti di cui, circa 2.000 giornalisti che sforna oltre 7.000 testate ogni anno. Nell'articolo si parla di un settore in grande fermento e che genera, specialmente in lombardia, un importante giro di affari. Tuttavia, i dati riproposti non possono essere falsati dal fatto che il 2008, per il settore editoriale, non è stato un anno di crisi. Le pianificazioni pubblicitarie, come noto, vengono decise con un anno di anticipo e l'anno del crollo è stato quindi il 2009, con ripercussioni importanti anche per il 2010. In particolare poi, l'anilisi svolta tiene conto sia dei dati Anes (associazione nazionale editoria periodica specializzata) sia dell'Uspi (unione stampa periodica italiana), due associazioni che non si occupano solo di stampa tecnica, ma anche di quella specializzata. La differenza è notevole, la stampa specializzata è quella che tratta argomenti di interesse specialistico relativamente a un hobbie, una passione, un aggregatore di notizie generaliste legate alle attività svolte dai lettori e generalmente diffuse in edicola. Per fare un esempio una rivista che parla di auto rivolgendosi al consumatore è una rivista specializzata. Le riviste tecniche, invece, sono per definizione quelle inviate agli operatori di un determinato settore e sono spesso (ma non sempre) spedite in abbonamento postale, in buona sostanza le riviste professionali.

Il dato fornito è quindi paradossalmente privo di valore, da una parte, infatti, le riviste specializzate (come citato anche all'interno dell'articolo) sono in larga parte associate alla Fieg (federazione italiana editori giornali) dall'altra, alcuni importanti editori (ad esempio il Gruppo Sole 24 Ore) aderiscono a quasi tutte le associazioni o federazioni del settore editoriale.

Cos'è quindi l'editoria tecnica oggi?
L'editoria tecnica è quindi solo una parte del valore presentato dall'articolo. Nonostante ciò è sicuramente un comparto importante dell'editoria italiana le cui riviste rappresentano una delle più importanti forme di informazione professionale (basti vedere la tabella di pagina 7 che cita le riviste tecniche e specializzate più diffuse e che è riportata qui di seguito per comprendere l'importanza di queste riviste)


Anche dalla tabella è facile evincere che alcune riviste appartengono al settore "specializzate", come Sapere&Salute, che è una freepress distribuita in edicola o Best Movie, distribuita in edicola.

Oltre alla classifica delle diffusioni delle singole riviste (ne appare anche una per cui scrive l'autore di questo blog, anche se in una posizione non proprio accattivante), che è destinata a mutare in maniera importante già alla prossima rilevazione, l'evidenza è che l'editoria tecnica non è ancora un oligopolio ma presenta un numero di attori molto variegato, per importanza e dimensioni. Se da una parte alcuni editori rivedono i propri bilanci al ribasso e contraggono gli investimenti nelle riviste, è anche vero che altri continuano a proporre nuove testate che a volte hanno anche successo nonostante il periodo di crisi.

La conclusione dell'articolo pone invece il difficile tema del passaggio alle nuove tecnologie e ai nuovi strumenti, che in una parola vuol dire internet in tutte le sue declinazioni (dai computer al mobile passando per tablet pc ed e-reader). Quest'ultimo tema fotografa una situazione di totale imbarazzo dell'editoria tecnica nei confronti della monetizzazione dei contenuti on-line: "il 38% dichiara un ricavo dal sito da zero a 10mila euro, il 16% da 10mila a 30mila euro, il 19% da 30mila a 50mila euro e un ulteriore 16% oltre le 50mila euro" (il dato citato parrebbe di capire essere relativo al 2007 n.d.r.). Si tratta di un problema noto e stranoto di cui spesso mi sono occupato in questo blog ma che spesso è ancora troppo sottovalutato dagli editori tecnici.

In conclusione cos'é l'editoria tecnica all'inizio del 2010? E' un settore che sta vivendo una situazione difficile ma meno drammatica rispetto all'editoria specializzata. Sempre all'interno dell'articolo, infatti, si cita una ricerca Doxa: "le riviste tecniche specializzate e professionali svolgono poi una funzione unica nel loro genere: sono strumento di aggiornamento (in molti casi l’unico) e formazione per chi, finito il periodo scolastico, è entrato nel mondo del lavoro. Il 48,8% dei tecnici, segnala una ricerca Astra-Doxa, non riceve più una vera formazione dopo aver cominciato a lavorare. E non è un caso che il 45,9% di costoro utilizzino proprio le riviste tecniche specializzate e professionali come strumento di formazione personale per il proprio settore di lavoro". Questa affermazione rappresenta forse l'unica via per un futuro sostenibile dell'editoria tecnica: fornire aggiornamenti e informazioni utili agli operatori di ogni settore può e deve funzionare anche sul web, anche se il passaggio mentale degli utenti alla fruizione di informazioni relative al proprio lavoro o mestiere on-line procede a macchia di leopardo.