mercoledì 27 maggio 2009

Creazione sito per editoria b2b

Ho accennato nei precedenti post alla necessità delle case editrici di riviste b2b di aggiornarsi e modificare il proprio modello di business. Per dare seguito a questa idea di base, abbiamo iniziato, con lo staf tecnico della mia casa editrice, la realizzazione del sito b2b  relativo a un gruppo di riviste del settore automotive per la quale lavoro. Di seguito porrò alla vostra attenzione i passaggi che stiamo adottando per la realizzazione di tale sito, le premesse e le regole "generali" che intendiamo seguire nella sua realizzazione. Lo scopo di questa trattazione, quindi, è quello di creare un modello economico che funzioni per i siti delle riviste tecniche.

Trattandosi di una rivista b2b lo scopo del sito è quello di creare una community attiva che possa scambiarsi informazioni a livelli differenti con autorizzazioni parziali. 

Prima di iniziare l'analisi è necessario dare alcune definizioni per semplificare l'argomento ed evitare confusione.

Utente Internet: un qualsiasi utente che naviga in internet e capita sul sito attraverso i motori di ricerca o per segnalazione su altri siti.

Professionista: il titolare dell'attività cui si rivolge la rivista b2b in forma cartacea, cioè il target reale della rivista.

Azienda: le società che generalmente rappresentano gli inserzionisti della rivista, o comunque, qualsiasi attore che abbia la necessità di comunicare alla propria filiera distributiva.

Dipendente: un utente registrato che lavora alle dipendeze di un professionista o di una azienda .

Di seguito ho rappresentato in forma schematica le opzioni abilitate ai vari livelli. 


L'utente internet, cioè il navigatore casuale deve poter accedere ai servizi offerti dai lettori delle riviste b2b e poterne valutare la qualità. 

es. il lettore di una rivista di prodotti per il bar è il titolare di un bar: l'utente deve poter accedere alla descrizione del bar e giudicarne la qualità, il servizio e dare indicazioni sulle caratteristiche. Il volano di tale partecipazione può esser eil titolare stesso che consiglia i suoi clienti abitudinari a giudicarlo bene su internet.


Il professionista o il titolare dell'attività può pubblicizzare la propria attività su internet in maniera georeferenziata a costo zero ma non può emettere giudizi nei confronti delle attività come la sua (cioè i propri concorrenti). Inoltre può essere un membro attivo della comunity professionale e ha accesso alla banca dati di quelli che "notoriamente" sono le aziende inserzioniste delle riviste b2b, cioè aziende manufatturiere, di distribuzione e di servizi. Solo l'utente professionale può esprimere giudizi su prodotti e servizi delle aziende registrate.

es. Il barista ha accesso ai prodotti e servizi offerti a chi fa la sua professione e può giudicare la qualità, l'efficienza eccetera di una attrezzatura che possiede, o il livello di servizio di un distributore, così come la qualità di un servizio.

L'azienda ha la possibilità di promuovere gratuitamente i propri prodotti e servizi al proprio pubblico di riferimento, nonchè la possibilità di farsi conoscere anche da un pubblico potenzialmente infinito che ignora la sua attività. L'azienda non può effettuare alcun commento onde evitare il rischio di inquinare il buzz del sito.
 
Il dipendente ha le limitazioni della società per la quale lavora

Nonostante le varie tipologie di utena abbiano differenti possibilità di interazione attiva con il sito, tutti possono consultare in sola visione il sito internet. La home page (quanto suona di vecchio questa definizione) è tutta orientata all'utente internet, con un solo link ben evidente al reparto professionale.

Per il momento questa è la bozza del nostro progetto, in seguito spiegerò come pensiamo di strutturare la banca dati, come promuovere il progetto e come monetizzare il tutto (non necessariamente nell'ordine citato.

sabato 16 maggio 2009

Editoria b2b: quale futuro?

Mi occupo oramai da qualche anno di editoria b2b e spesso mi chiedono se questo settore sarà destinato, come gli altri media, a una complessiva rivoluzione in termini di modello di sviluppo.

Credo sia semplice affermare che anche l'editoria b2b è editoria, quindi come tutta l'editoria è in crisi e come tutta l'editoria è destinata a subire un processo di modernizzazione e adattamento per il futuro, ma con non pochi distinguo.

Nonostante qualche ricerca fatta su internet non so' datare la nascita dell'editoria b2b in Italia (se qualcuno avesse informazioni e le mettesse nei commenti ne sarei grato), ma la casa editrice per la quale lavoro ha sicuramente più di cinquanta anni. Tuttavia, quello che mi è chiaro, sfogliando le vecchie riviste pubblicate da questa casa editrice è che, fondamentalmente, l'editoria b2b, anche detta stampa tecnica è, da sempre e per sua natura, qualcosa di leggermente differente rispetto alle restanti forme di informazione. 

A mio modo di vedere, le pubblicazioni b2b contengono  tre differenti anime: da una parte c'è la  "tecnica", cioè la spiegazione dei processi e di come svolgere il proprio lavoro ai vari professionisti cui sono rivolti, così una rivista per idraulici conterrà tutti i trucchi "tecnici" per risolvere i vari problemi che l'artigiano incontra durante il proprio lavoro. In secondo luogo c'è un anima "commerciale",  che spiega ai propri lettori come sviluppare il proprio business. Infine, una piccola parte giornalistica, che indaga (o dovrebbe) sui problemi del settore di riferimento e fa luce sui fatti poco chiari. In maniera differente  e con percentuali molto varie, questo tipo di anime sono contenute in tutte le riviste b2b. 

L'editoria B2b ha lo scopo di informare una determinata filiera produttiva, mentre, si mantiene sostanzialmente attraverso la pubblicità (l'approvvigionamento da abbonamento funziona parzialmente solo nel caso di testate scientifiche, differenti da quelle tecniche).  

Il punto cruciale dell'editoria b2b, come di tutta l'editoria è quindi sempre lo stesso: a fronte di una costante emorragia di introiti pubblicitari, questa forma di media deve cambiare il proprio modello di business.
Ma la pubblicità dell'editoria tecnica ha almeno un vantaggio: tratta esclusivamente questioni legate agli addetti ai lavori e non subisce migrazione verso i grandi media main stream. Quindi, a differenza dei giornali e delle riviste consumer, l'editoria b2b non ha subito grandi scossoni negli ultimi anni. 

Per il futuro, invece, il problema si manifesta con maggiore portata: questo tipo di editoria, infatti, dovrà fare i conti in maniera importante con il web 2.0, così come con le nuove formule di marketing diretto e buzz analisys che sempre più le aziende stanno imparando ad utilizzare.
Il motivo della tenuta dell'editoria b2b, infatti, è proprio nella sua capacità di legare i vari attori della filiera: piccoli soggetti e grandi multinazionali hanno la possibilità di farsi conoscere dai propri potenziali clienti diretti in maniera mirata, con il vantaggio di costi non esagerati tipici dei media main stream e soprattutto evitando dispersione di energie. Ma se le grandi aziende hanno la possibilità e la capacità di utilizzare uno strumento come internet possono accedere direttamente questo tipo di pubblico. Certo, probabilmente i tempi saranno più lunghi, ma il vantaggio è, oltre a un contatto diretto con i propri clienti, anche una maggiore visibilità verso il grande pubblico che non conosce i processi e i meccanismi che si nascondo dietro il mondo produttivo moderno. Per dirla con i termini propri del marketing, insomma, le grandi aziende, oltre a comunicare con i propri clienti, hanno la possibilità di fare "brand awarness" con tutti i visitatori dei propri siti.

Ma torniamo all'editoria b2b. Se questo scenario si avverasse, come potrebbe guadagnarci l'editoria b2b? Il rischio è quello che, l'eventuale rivista b2b, risulti come uno strumento ridondante, poco utile all'inserzionista, che agisce direttamente. Non solo, le riviste di settore non sono  in grado neanche di pretendere il pagamento dai propri lettori, che potrebbe essere un'alternativa fonte di reddito. I costi per il lettore sarebbero troppo alti, ma soprattutto le riviste b2b sono, quasi sempre, certificate e a circolazione garantita; quindi indipendentemente dal numero dagli abbonati ne vanno spedite un certo numero. Il lettore, sia abbonato sia no, generalmente le riceve comunque, magri se non è abbonato non le riceve tutti i mesi, ma in fondo è gratis e alla maggior parte della gente va bene così.

Cosa stanno facendo gli editori oggi? In generale, puntano su vari modelli sussidiari, che sfruttano il know-how e la visibilità delle riviste per generare profitto: c'è chi organizza corsi di formazione, chi fiere ed eventi, chi vende informazioni in merito alle importanti banche dati di professionisti di cui sono in possesso (la vera forza di una rivista b2b è proprio la sua banca dati del settore) e cerca di portare la propria esperienza su internet.

Proprio su questo punto però, la mia idea è che nessun editore b2b abbia compreso appieno questo strumento e non sia in grado di utilizzarlo a dovere per diversi motivi.

Cosa offrono oggi le testate b2b sul web? Alcune di esse propongono gli stessi contenuti che pubblicano sulla rivista, cioè, in sostanza la rivista sul web. Altri, leggermente più lungimiranti hanno iniziato a lanciare dei "portali di informazione" del settore, pochi, infine hanno iniziato a sfruttare le poche banche dati per utilizzo professionale e ancora meno hanno intrapreso la strada delle community (perlopiu con risultati operativi non all'altezza dell'investimento).

Questa staticità del sistema editoriale trade dimostra come in realtà nessuno dei modelli studiati funzioni. Ciò che, secondo me sta mancando agli editori b2b è il focus sul ruolo di questo tipo di editoria all'interno della filiera produttivo/distributiva. Se ciò che rende, a livello di ritorno economico è il rendere possibile il contratto tra i vari stadi della filiera, ebbene, oggi l'editore on-line rischia di divenire un doppione di ciò che già fa l'azienda stessa.

La forza della comunicazione b2b è sempre stata quella di offrire dei target di riferimento ai propri inserzionisti, concetto totalmente estraneo alla logica di internet. Per questo oggi un buon editore b2b dovrebbe strutturare delle community tese al propagarsi dell'informazione "tabellare", con strumenti di vendita basati sui servizi: per l'inserzionista, in un ottica di pay per clic mirato, mentre  per il membro della community di acquisto di informazioni o servizi.
Se però le informazioni destinate agli operatori professionali sono relegate "gioco forza" a un'area riservata, bisogna indiscutibilmente pensare che internet è aperto a tutti, quindi perché non sfruttare anche la parte così per dire pubblica? Gli editori b2b, insomma, dovranno sporcarsi per forza le mani con informazioni "consumer" che non necessariamente devono essere generate da giornalisti (mi metto nella categoria di rischia il posto in questo caso) ma più verosimilmente dalla stessa community di professionisti, che a questo punto possono essere interessati ad avere una maggiore visibilità nei confronti del proprio pubblico.  
Sintetizzando, quindi, credo che l'editoria b2b possa avere un buon futuro davanti a se solo se saprà reinventarsi partendo dall'origine, ossia dalla sua capacità di mettere in contatto i vari attori della filiera di un comparto: dai produttori fino, questa volta, agli utenti finali.


lunedì 4 maggio 2009

Editoria, web e professione giornalistica: il futuro non è alle porte


Che il sistema informativo mondiale sia destinato a cambiare sembra essere un fato di fatto. Non è possibile pensare che i ricavi della pubblicità riescano a compensare le spese che un giornale è chiamato a sostenere in termini di personale, inchieste, strutture e, perché no, idee. Il problema è stato analizzato da molti, lo so, ma il punto è che nessuno, finora, ha trovato soluzioni convincenti, dei modelli di business che riescano a compensare l'emorragia economica che sta investendo quotidiani, mensili, settimanali, riviste specializzate e tecniche. Il problema dell'editoria non mi sembra differente da quello di altri settori industriali: troppi attori, troppa produzione. Ma il problema editoriale presenta una peculiarità aggiuntiva rispetto allo stallo capitalistico in cui si trova l'economia globale: se il settore delle automobili crolla perché sovradimensionato rispetto alla domanda ci sarà un ridimensionamento della produzione, alcuni attori spariranno e, forse, in un futuro prossimo si arriverà a quanto ha previsto qualche tempo fa l'ad di Fiat Auto Marchionne, cioè una selezione durissima degli attori in grado di fagocitare i più piccoli e costituire pochissimi poli di produzione con alti volumi. Se questo sarà il futuro dell'industria manifatturiera, cioè la concentrazione dei volumi nelle mani di pochi, lo si vedrà nel breve o medio periodo, ma l'idea di base non è pellegrina, nasce da alcuni importanti presupposti: la produzione richiede investimenti importanti in infrastrutture e persone, specializzazione e formazione delle maestranze. Che c'entra tutto questi con l'editoria? Niente, o per lo meno molto poco. Un'ipotesi analoga, infatti, può forse essere posta a livello di produzione di media cartacei. La carta non morirà in breve tempo, i tempi sembrano, qualora dovesse realmente accadere, molto più lunghi rispetto ai necrologi e coccodrilli scritti sul web da migliaia di blogger o di giornalisti. Ma la carta rappresenta un costo inderogabile e oggi, a spartirsi la torta pubblicitaria sono molti, forse troppi attori nel mondo. Chi avrà la forza resisterà, magari si riadatterà con modelli più snelli ed efficaci, probabilmente mixando la produzione cartacea con le risorse web.
Il web. È qui che il sistema viene a cadere. È vero, oggi si parla di citizen journalist, di persone pronte a dedicare il proprio tempo all'informazione collettiva, al bene comune. Di per se, si tratta di uno scenario positivo: la condivisione dell'informazione fa crescere la società e la maturità sociale, ma in tutto questo l'editoria, che ruolo avrà?
Gli introiti pubblicitari non sono più destinati a pochi e ben riconosciuti attori, il capitale investito nella comunicazione si sparge con un effetto a macchia d'olio sul web e chi cerca di afferrare questo “oro nero” se lo vede scivolare facilmente dalle mani in funzione di piccoli attori, dai grandi numeri.
Quali sono i rischi di questa situazione? Chi è deputato a fornire informazioni valide e certe? Chi pagherà i giornalisti di domani?
Oggi tutti si pongono questa domanda e alcune soluzioni sono già state messe in campo: c'è Al Gore, che grazie al citizen journalism riesce a captare una quota di investimenti pubblicitari tali da finanziare inchieste sul campo nei luoghi più remoti, c'è l'Huffington post, che aggregando notizie dai grandi media può permettersi tre redazioni sparse negli Stati Uniti. Non solo America, anche in Europa alcuni esempi positivi sono riusciti a pagare una parte di spese, specialmente grazie all'utilizzo di blogger stipendiati, la cui figura mi risulta, francamente, difficile da scindere rispetto a quella del giornalista freelance o di redazione. Ma il web ha anche posto nuovi e interessanti quesiti. Per quanto riguarda i quotidiani, ad esempio, e le notizie, diciamo così “main stream”, il problema è relativo alla sorgente di tali notizie. Se aggregando le notizie provenienti dai principali mezzi di comunicazione si creano ottimi siti internet di informazione, è anche vero che questa operazione andrà mano mano a erodere i margini del produttore primario, portandolo, lo abbiamo già visto, in alcuni casi, anche al fallimento. ma se non ci saranno più notizie “primarie”, quali notizie si aggregheranno? Banale. Non solo però, il marketing 2.0, quella tecnica per cui i propri prodotti possono essere posti all'attenzione dell'utenza attraverso la rete, in maniera diretta, porterà inevitabilmente un impoverimento delle casse dei giornali e media tradizionali, con un netto spostamento dei capitali verso blog, forum, community e mobile web. Una possibile ecatombe, anche perché l'informazione pubblicitaria sarà sempre più collegata e implementata con l'informazione. Ma se editore e giornalista sono destinati ad essere la stessa persona chi controllerà la qualità delle informazioni? Probabilmente sarà la stessa rete ad autoregolarsi: il web è una forma di democrazia evoluta, se un post, un commento, una descrizione di un prodotto non piacciono o sono ritenute poco oggettive il decreto è rapido, il sito perde visite e i giudizi negativi imperversano.
Chi sono gli editori del futuro? Sono già qui. pochi se ne sono accorti, ma non è un caso se i più grandi introiti pubblicitari del mondo web sono detenuti da tre attori come Aol, Msn finance e Yahoo finance. Tre nuovi editori che non propongono giornali o riviste, ma piattaforme. Così come, in breve tempo diventerà Google, una piattaforma, anzi, molto probabilmente La Piattaforma. Che differenza c'è tra un editore tradizionale, che mette a disposizione di un direttore e del suo staff giornalistico un mezzo come la carta stampata, certo comprensiva di strutture e processi costosi rispetto a chi mette a disposizione di una redazione on-line una piattaforma informatica fatta di bit e un posizionamento nei motori di ricerca? La Torta è troppo piccola per gli attori che popolano il web. La pubblicità non può stipendiare l'intera filiera, che, per inciso, va dal gestore telefonico fino al fornitore di software.
Qualcuno deve togliersi di mezzo, oppure qualcuno deve rinunciare a una fetta della torta, ma chi è disposto a rinunciare a qualcosa oramai dato per consolidato? Non gli utenti, abituati a non pagare per consultarle notizie on-line, non i gestori telefonici, veri depositari dell'accesso al web, ne gli autori, che fino ad oggi hanno lavorato con stipendi discreti, ne, ovviamente gli editori.
Quale sarà il risultato è difficile prevederlo, ma il rischio è che abbiano peso, nel futuro del web, solo le notizie in grado di generare ricavi.
C'è poi un ultimo aspetto che mi piace affrontare, e di cui troppo poco spesso si parla ragionando sull'editoria e sul web. Le notizie on line, non si esauriscono con la loro messa in onda, così come avviene con i giornali e i telegiornali. Esse rimangono a lungo tempo nel web, anche un tempo potenzialmente infinito, continuando a generare, magari, reddito e di conseguenza a salire nel ranking dei motori di ricerca vista la rilevanza che hanno nei confronti di una determinata frase di ricerca. Così in futuro, tranne che i prodotti e notizie altamente innovative ci sarà ancora spazio e, forse, visibilità, mentre per tutto ciò che non è indicizzato è destino che si paventi l'oblio. Il punto è, chi è depositario di questo immenso potere, chi è l'editore supremo? Probabilmente Google, il motore di ricerca più utilizzato al mondo, home page di miliardi di pc e in grado di rilevare, grazie a un algoritmo, la rilevanza di una notizia rispetto a quanto cercato. Oggi, quindi, tutti gli editori, i giornalisti, chi utilizza il web deve porsi una domanda: chi è l'editore? se storicamente l'editore è colui che detta la linea editoria allora l'editore è Google, le cui stamperie sono i provider e i giornalisti quelli che oggi chiamiamo editori. C'è una metafora che mi è sempre piaciuta da quando faccio il giornalista: il direttore di una testata ne è il re, un re pagano però, messo lì dal volere di un dio. Quel dio è l'editore, che può decidere la vita e la sorte di ogni giornale. Oggi dio è Google, un dio potentissimo e unico, perché a differenza dei vari giornali è da solo a detenere il potere. La diatriba quindi potrebbe essere se la società è pronta a un sistema con un dio unico e potente a dominare il mondo e posto in alto a guardare gli uomini editore scannarsi tra di loro senza intervenire e un sistema più pagano, con tanti piccoli dei, ognuno dei quali, in fondo innocuo e litigioso, che provano a scalare l'olimpo del sapere?