mercoledì 7 ottobre 2009

Editoria nautica al tracollo

Uno dei problemi maggiori che l'editoria si trova a fronteggiare nel passaggio alla digitalizzazione delle riviste è quello di non avere un modello di riferimento per creare siti web redditizi. Ciò che però non viene, spesso, preso in considerazione è che ogni comparto ha le proprie specificità e, quindi, non è detto che la soluzione sarà univoca. Per capire questo concetto è sufficiente analizzare ciò che accade nel settore tradizionale. Un esempio emblematico è rappresentato dalle riviste del settore nautico, la cui crisi dipende, come in altri casi, da un crollo degli inserzionisti dovuto alla diminuzione delle vendite di questi ultimi.

Nel 2009 si è assistito a una seria crisi che ha colpito, forse più di ogni altro, il settore nautico. Un settore che ha usufruito in ritardo degli ammortizzatori sociali (è stato, in ordini di tempo, uno degli ultimi comparti industriali a richiedere la cassa integrazione ordinaria) e non ha colto in tempo la crisi che si prospettava, forte delle crescite a due cifre degli ultimi tempi. Il risultato di questa politica è stato che molti cantieri hanno stoccato una gran quantità di imbarcazioni pronte sui propri piazzali o presso i propri dealer, senza però rientrare in alcun modo degli investimenti dovuti alla produzione. Il quadro complessivo, quindi, è che molti hanno ancora barche invendute e sono indebitati per mantenere in vita la propria attività. Che centra tutto questo con la pubblicazione di riviste? Molto, perché la nautica è, da sempre un settore che ha investito in comunicazione: le riviste del settore sono moltissime e oggi non vedono pagata la pubblicità. Se da una parte molti cantieri hanno ridotto (se non azzerato) i propri programmi di marketing, altri hanno continuato chiedendo dilazioni infinite agli editori, chiedendo agli editori, in sostanza, di fare da banca per loro in attesa di una ripresa del mercato. Nelle riviste sono così avvenuti tanti cambiamenti importanti, con una transumanza di giornalisti da una testata all'altra in cerca di condizioni migliori (quando non si sono trovati per strada senza lavoro). Ma cosa hanno fatto gli editori per fronteggiare questa crisi? Sostanzialmente si sono affidati alla divina provvidenza, che tutti aiuta ma non fa campare. Non si sono viste attività editoriali innovative, nessuno punta sul web
(a parte qualche caso isolato), nessuno ha tentato strade differenti per riuscire a superare il momento, perché, è bene dirlo, il settore vive di una storicità di rapporti consolidata: in passato i cantieri hanno aiutato le riviste a crescere, oggi ci si aspetta il contrario. Quello che però è in discussione ora è il modello di questo settore. Con una dilagante influenza degli inserzionisti sugli editori e sulle linee editoriali (ma ancor più sugli articoli) le riviste sono di fatto completamente dipendenti dai propri inserzionisti ed è difficile trovare inserzionisti extrasettore, se non nel campo del lusso. Ci si può chiedere se questo modello sia etico (ho sentito con le mie orecchie dire da un importante industriale che le riviste che parleranno bene del suo prodotto saranno ripagate con la ripresa, mentre quelle che si sono dimenticate di lui no, come se dati quali diffusione e credibilità siano fattori marginali), ma in realtà è l'unico che funziona. Chi ha provato a dare un taglio differente alle riviste, magari con inchieste e prove comparative ha mestamente chiuso per mancanza di vendite e investitori. Se per i secondi la spiegazione può essere che il modello secondo cui il giornale è indipendente non è gradito, bisogna interrogarsi sul perché i lettori non abbiano premiato questo tipo di attività. La mia spiegazione è che l'utente che acquista una rivista nautica non sia interessato realmente al prodotto: la barca trasmette passione ed è meglio avere tante belle foto e un testo che racconta le meraviglie dell'oggetto desiderato di uno che indaga sulla qualità costruttiva e la sua praticità.

Il caso dell'editoria del settore nautico dimostra quindi che non sempre la qualità giornalistica è ripagata da un aumento dei lettori. Si tratta di una considerazione a mio avviso importante e che può far guardare alle soluzioni editoriali on-line con un occhio differente: se in molti casi è importante avere dei contenuti di giornalisti professionali e professionisti, è altrettanto vero che l'impatto grafico e la rassegna rappresenta un'alternativa molto valida come modello. Soprattutto in un campo come quello nautico, quindi, l'editoria potrebbe benissimo continuare a sopravvivere on-line, migliorando i propri siti internet e, ovviamente, aumentando l'aspetto "sociale" di questi ultimi. Se il lettore non è interessato più di tanto ad avere informazioni tecniche sulla propria imbarcazione, è comunque interessato alla comunità di persone che stazionano nel porto dove tiene la sua barca, così come alle tante altre informazioni relative agli spostamenti, alle crociere eccetera, come dimostra, ad esempio, il social network theopensea.com, nato da poco tempo in America e che già annovera un certo traffico.