lunedì 28 settembre 2009

Soluzioni per l'editoria di periodici on-line

L'incontro per l'editoria tecnica e specializzata che si è svolto a Milano il 24 settembre 2009 è stata l'occasione per fare in punto sullo stato dell'editoria italiana. Non solo l'editoria B2C, ma anche quella B2C, visto che tra i relatori che si sono alternati sul palco è intervenuto anche De Alessandri, amministratore delegato di Hachette Rusconi Italia. Il quadro che ne esce non è dei migliori, anche i più illuminati editori non sembrano aver trovato la chiave di volta che renda il web redditizio, e il massimo che si è riusciti a ricavare è stata una generica indicazione di puntare il più possibile sui grandi numeri e sui piccoli introiti forniti dagli utenti e da micro inserzioni, che una volta ripetuti e rietute migliaia di volte, dovrebbero portare a una redditività discreta, sempre e comunque non paragonabile rispetto agli introiti di riviste e periodici. Personalmente credo che ci sia un errore di fondo in questo tipo di visione e l'unica indicazione che ho trovato adeguata è stata quella di Paolo Ainio (presidente di Banzai): il web non è un media, è una infrastruttura. Per questo la redditività di una qualsiasi iniziativa non è necessariamente legata a un modello standard, come invece avviene nei media classici. Per questo non è detto che un sistema, che funzione per un settore o per un pubblico di utenti, sia replicabile all'infinito garantendo comunque una remunerazione adeguata. Per questo, infine, le riviste, e in particolare quelle B2B sono avvantaggiate e possono garantirsi introiti validi anche su internet.
Progetti personalizzati
Le premesse da cui partire, che rappresentano esclusivamente mie convinzioni, sono che le aziende che operano nel panorama editoriale B2B hanno il vantaggio di conoscere i settori e i protagonisti di tali categorie merceologiche meglio di qualunque altra start-up internet. Una conoscenza che nasce da anni di contatti e collaborazioni commerciali. In questo non bisogna mai dimenticare l'apporto che un direttore testata, e dei suoi giornalisti di settore, possono apportare in termini di sviluppo di una eventuale iniziativa web. Generare contatti è molto più semplice quando si tratta con associazioni di categoria e quando si possono effettuare presentazioni a platee ampie di utenti professionali, vedi alla voce convegni, fiere e manifestazioni. Se, quindi il ruolo di pr deve essere affidato a un direttore è anche a questo soggetto che tocca il compito di spiegare il funzionamento del suo settore di competenza: quali sono i meccanismi che regolano la distribuzione, quali i passaggi della filiera e, non ultimo, quali le problematiche di accesso alle informazioni che la sua filiera pone in essere. Queste informazioni andrebbero quindi discusse con l'editore (o il suo delegato rappresentante dell'azienda) e con il responsabile IT o meglio il responsabile sviluppo internet. Solo così si può iniziare a buttare giù una infrastruttura che sia interessante per l'utenza internet e solo così il prodotto editoriale (chiamiamolo così, anche se il modello non deve essere troppo rigido) può iniziare a muovere i primi passi.
C'è poi un altro aspetto che, a mio avviso, viene spesso sottovalutato in Italia: l'informatizzazione non è omogenea. Così se un medico o un avvocato o perché no, un giornalista, ha oramai una discreta familiarità con un utilizzo avanzato di internet (e neanche sempre è vero) bisogna pensare che molte categorie professionali non sono così avanzate e spesso non conoscono neanche internet. O forse no? Personalmente penso che la spaccatura sia verticale sull'età e non orizzontale sulle categorie sociali: le generazioni più in là con gli anni sono meno multimediali, ma se si sceglie una fascia media di lavoratori, diciamo fino ai 50 anni, quindi tutta gente nel pieno della propria vita produttiva, probabilmente una buona parte ha un contatto con il mondo digitale, il punto è, di che tipo? Se infatti poco si può fare con chi non utilizza internet, molto si può fare nell'analisi dei propri lettori e di che tipo di approccio hanno con la rete. Un avvocato utilizzerà internet magari per leggere le notizie sui cambi di poltrona, oppure un medico si informerà sugli ultimi ritrovati scientifici o una terapia che non ricorda, in una parola, le persone con una certa cultura di base tendono ad affrontare il web ANCHE per un utilizzo professionale. E gli altri? I lavoratori delle fasce meno colte utilizzano internet? Provate a chiedere al vostro meccanico se legge il giornale su internet, probabilmente vi risponderà di no, ma se poi gli domandate che telefono ha ci sono buone possibilità che vi mostrerà un iphone, con cui si collega sempre a facebook dove ha 870 amici, di cui circa l'80% è gente che non conosce. È una provocazione, ma un fondo di realtà trovo che ci sia, per questo i siti internet devono essere adattati al tipo di utenza cui si vogliono rivolgere.

Social social social
Repetita iuvant diceva qualcuno e oggi nessuno può prescindere dall'aspetto sociale dei siti web. Per questo una piattaforma editoriale deve coinvolgere il proprio pubblico, non una concorrenza a modelli che già esistono, di facebook ce ne è già uno e forse è anche troppo, ma un modello tarato sulle esigenze degli operatori, una piazza virtuale che possa essere uno strumento reale di lavoro, di informazione e, perché no, anche di svago. E i contenuti? Una delle tematiche maggiormente interessanti del convegno del 24 è stata proprio la scelta dei contenuti: la testata, anche nel proprio sito internet può lanciare dei contenuti, in forma di inchiesta, analisi di mercato o quant'altro, ma in questo caso è fondamentale non sottovalutare tutte le discussioni che queste generano sul proprio sito. E a questo punto si giunge a una seconda grave mancanza dell'editoria nei propri portali web: la pressoché totale assenza di redattori web, o meglio di redattori web 2.0. Il ruolo del redattore web, infatti, è cambiato: a mio avviso il redattore web del futuro deve essere una persona preparata sugli argomenti trattati, deve sì, inserire o scrivere i testi del sito ma soprattutto deve moderare le discussioni, è lui, insomma, il caporedattore del futuro. A lui la scelta di seguire un tema piuttosto che un altro in base ai feed della rete, a lui il compito di moderare gli interventi o di cercare risposte a domande troppo tecniche (anche in questo caso l'esperienza e i contatti sviluppati grazie all'editoria tradizionale aiutano e aiuteranno sempre, perché nonostante internet, i giornalisti sono da sempre a contatto con il mondo dell'industria e della distribuzione e per questo possono contare su canali privilegiati di accesso alle informazioni.
Monetizzazione
Nel convegno del 24 si è tanto parlato dei bassi introiti pubblicitari derivanti dalle pubblicità internet. Questo è vero solo in parte e io non credo che non si possa cambiare la situazione. Il punto è: che feed back ha l'azienda dal suo investimento? Ma soprattutto, siamo davvero convinti che si possa continuare a vendere pubblicità con i metodi del 900? La pubblicità è ancora quella del 900 o è cambiata? Io credo sia cambiata e cambierà molto ancora. Vendere un banner, così come il risultato di una ricerca è un qualcosa di vecchio, anche se lo si vende in base ai risultati che raggiunge l'azienda. La vera monetizzazione on-line si otterrà solo quando qualcuno sarà disposto a pagare un prezzo giusto per essere dove deve stare nel momento giusto. I media sono uno strumento di comunicazione e di informazione, ma oggi si è affiancata a questa loro storica funzione anche la possibilità di mettere in diretto contatto utilizzatore e produttore. Se si offre un servizio di comparazione all'utente professionale, se si da l'opportunità al lettore di acquistare o chiedere un preventivo direttamente dal proprio sito, questo servizio ha un valore ben più alto di una semplice campagna di brandawarness. Una campagna di informazione georeferenziata destinata a un pubblico mirato dei propri potenziali clienti ha un costo ancora differente, così come il veicolare messaggi informativi su promozioni e attività di una azienda è un punto di forza per le aziende di uno specifico settore, sia che esse vogliano operare sul sell-in o sul sell-out.
Cross media? Meglio il cloud media
Ma gli editori sembrano ancora troppo legati a logiche di editoria classica, dove lo spazio è limitato il ciclo di vita del prodotto editoriale è legato alla fisicità del prodotto. Nell'era digitale, invece, bisogna tener sempre ben presente che ciò che si pubblica su internet rimane lì, “per sempre” (o almeno finché non muore il server). Per questo l'attività di pubblicazione va modificata, adattata a questa nuova esigenza e, se l'attualità deve essere veloce e istantanea, gli approfondimenti devono essere molto più dettagliati che in passato, perché lo spazio c'è e un lettore che vuole saperne di più deve essere soddisfatto della sua esperienza, più che al “cross media” quindi, che ha sicuramente una utilità in termini di marketing del proprio brand, bisogna pensare i propri siti internet in un ottica di cloud media: le informazioni devono spargersi come una nube attorno a un argomento portante e apprezzato, continuando a indagare e scavare fino a che la tematica non sia eviscerata in maniera completa ed esaustiva, cosiché la sua permanenza in internet possa generare contatti di qualità in futuro.


giovedì 24 settembre 2009

Il mestiere di editori ai tempi dei new media

Si è svolto oggi (24 settembre 2009) a Milano il 3° Forum degli editori tecnici professionali specializzati, un’occasione per comprendere le nuove dinamiche dell’editoria alla luce dei cambiamenti in corso che “sembrano”, almeno sulla carta, ma sarebbe meglio dire sui monitor o sui cellulari, destinati a cambiare il panorama dell’editoria tecnica, professionale e, appunto, specializzata.
A introdurre il tema del Forum ci ha pensato Gisella Bertini Malgarini, presidente di Anes (associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata) e amministratore unico di BE-MA editrice, che ha affrontato in una breve presentazione il problema del cambiamento dei nuovi media, definendo la “rete” un’opportunità per gli editori, a patto che sappiano trovare la maniera giusta di affrontarla.

A diradare le nebbie che avvolgono il panorama della multimedialità nel settore dell’editoria tradizionale ci ha pensato Emilio Cimadori, presidente di Airesis, una società di ricerca e di consulenza di marketing, che ha snocciolato una serie di cambiamenti in atto nello scenario dell’editoria tradizionale e che già a marzo scorso aveva affrontato il tema. Dagli utenti pubblicitari ai lettori, infatti, il cambiamento in atto sembra essere globale: da una parte gli inserzionisti sono sempre più attenti a selezionare i propri investimenti che, con le dinamiche proprie della rete hanno portato un nuovo concetto di redditività, dell’investimento pubblicitario, sempre più misurabile e quantificabile, dall’altra i lettori, che da utenti anonimi e passivi si stanno sempre più informatizzando e pretendono un ruolo attivo nella generazione/organizzazione/fruizione dei contenuti editoriali. Cimadori ha anche analizzato la situazione degli editori tradizionali italiani, giungendo alla conclusione che si riscontra, in Italia, una perlopiù completa “assenza di piani organici di affiancamento tra la carta e il digitale”.
Le motivazioni di un tale ritardo (se così si può dire) sarebbero riassumibili in tre motivi da non prendere necessariamente in maniera singola:
1) È troppo presto per passare a internet (non si sa che fare e comunque la redditività è bassa).
2) Resistenza al cambiamento (da imputare più alle strutture che al singolo editore, in sostanza la resistenza aziendale al cambiamento).
3) Le aziende editoriali hanno altre priorità.

Secondo Cimadori, in definitiva, gli editori, in questo periodo storico stanno “lavorando in un'ottica di breve termine”, che non aiuta a garantirsi un futuro. Proprio in questo periodo, conclude il presidente di Aires, infatti, le case editrici dovrebbero intrecciare un dialogo importante con coloro che fino a ieri consideravano “il nemico”, ossia società specializzate nella generazione e diffusione di contenuti on-line.

I lavori della mattinata sono stati coordinati da Alessandro Cederle, amministratore delegato di Reed Business Information, nel suo ruolo di vicepresidente di ANES. A lui è toccato il compito di introdurre due ospiti per così dire “scomodi” a una platea di editori tradizionali, cioè Paolo Ainio, presidente e ad del gruppo Banzai, una delle più attive aziende del panorama internet Italiano e Marco Camisani Calzolari, CEO di Speakage, azienda produttrice di piattaforme web 2.0.
Paolo Ainio è un nome nel panorama del web italiano, dopo aver contribuito a creare Virgilio agli inizi degli anni ’90 ha aspettato la fine del cosiddetto sBoom (il crollo dei ricavi derivanti da internet che in Italia è durato quasi 6 anni) per fondare nel 2006 Banzai, una società ben nota nel web che annovera alcuni tra i siti più conosciuti d’Italia. Una volta spiegato alla platea di cosa si occupa, Ainio ha affrontato la prima grande questione relativa ai new media: internet. Il web, spiega, “non è un media, ma un sistema”, una infrastruttura, come un’autostrada, che c’è e bisogna comprendere come sfruttare. Il passaggio fondamentale dell’evoluzione di internet è stato quello di essere un mero mezzo di consultazione (“i famosi surfer dei primi anni novanta che cercavano solo contenuti”) a un ecosistema di relazioni sociali. “Ben il 70% del tempo speso su internet è dedicato all’interazione con altri utenti” spiega Ainio, dalle e-mail ai social network, fino ai commenti delle notizia e alla condivisione di “oggetti” digitali (siano essi musica, filmati o articoli). In quest’ottica bisogna anche rinnovare il modo in cui si guardano gli utenti, non più solo professionali, ma appassionati che vogliono creare e condividere contenuti, in una parola i “prosumer”. Per quanto riguarda le ricette per l’evoluzione di internet a la sua monetizzazione Ainio è convinto che sarà la formula Freemium l’arma vincente, soprattutto quando il digitale diventerà al 100% mobile e i pagamenti avverranno attraverso i telefonini di ultima generazione (o strumenti similari).
Marco Camisani Calzolari ha invece posto l’accento sull’utilizzo di internet sottolineando l’importanza, per chiunque si affacci a internet, di una buona competenza in fatto di usabilità dei siti: sempre tenendo a mente concetti come le tecniche SEO e i vantaggi della Long Tail.

La sessione è poi passata al “contraltare” editoriale quando, a prendere la parola è stato Stefano De Alessandri, ad e direttore generale di Hachette Rusconi,azienda del gruppo Lagardére che ha portato la testimonianza di un caso diretto (il portale di Elle e la sua convivenza con la rivista) analizzando una delle questioni più importanti del dibattito: la profittabilità della rete.
In un asse cartesiano il dg di Hachette ha posto infatti i magazine su un piano nettamente opposto ai media digitali: quanto più i primi hanno una produzione di tipo artigianale e “di qualità” tanto più possono garantire una buona resa e un buon rapporto pubblicità/utenti. Nel caso opposto, a leggere tra le righe, il digitale è remunerativo quando la sua produzione è di tipo “industriale, perché si poggia su un basso rapporto pubblicità/lettore. Interessante in questo campo anche il decalogo Hachette per i new media, o, come lo ha definito De Alessandri, il Survival kit che riporto di seguito:

1) Rispetta il tuo brand ma non i vincoli con cui è nato
2) Diffida della “soddisfazione in cerca di bisogno"
3) Differenzia il territorio digitale e il digitale come canale di marketing
4) Assumi giornalisti… ingegneri
5) Digitale non è (solo) contenuto (editoriale)
6) Informazione vs controllo: lascia che gli utenti lavorino per la tua strategia
7) Produci globalmente, adatta e gestisci localmente
8) OGM è qualità
9) Usabilità e qualità
10) La velocit è qualit

Dove l’ultimo punto del decalogo non è un errore di battitura ma un semplice messaggio per far capire come, su internet, le cose rimangano per sempre e possono comunque essere modificate sempre.

A conclusione dei lavori della mattinata è intervento direttamente Alessandro Cederle, questa volta con il cappello da editore, cioè di ad di Reed Business Italia che ha affrontato il tema nell’ottica delle pubblicazioni B2B ponendo un accento importante sul cross media publishing, ossia l’utilizzo differenziato dei propri contenuti su più piattaforme: dalle riviste a internet senza dimenticare congressi e premi (quest’ultimo un settore ancora poco esplorato nel panorama editoriale italiano).
Tra i passaggi salienti di Cederle, il momento in cui ha posto l’attenzione sulla vendita dei servizi editoriali integrati, una vendita che richiede probabilmente personale rinnovato, fatto di commerciali con una spiccata impronta tecnica, che possano spiegare i vantaggi dell’investimento comunicativo nel digitale piuttosto che su altri e ben noti media.

Alcuni temi hanno poi caratterizzato tutta la sessione, tra questi sicuramente quello del costo della pubblicità su internet: se Ainio ha “accusato” gli editori di aver abbassato la guardia offrendo banner e campagne a prezzi stracciati rispetto ad altri mercati, De Alessandri punta invece il dito sulle grandi concessionarie, Google su tutti, che hanno livellato verso il basso il costo della pubblicità on-line.