lunedì 27 luglio 2009

Perchè il web b2b deve puntare sulla vendita diretta

L'editoria b2b, come già ho avuto modo di dire, sta affrontando un problema importante di trasformazione. Per questo, storiche riviste, che esistono da oltre 60 anni, oggi rischiano il fallimento. Si tratta per lo più di pubblicazioni tecniche, volte a ricoprire un ruolo importante nella comunicazione. Così riviste di meccanica, di idraulica, e di tanti altri settori merceologici, perdono oggi una cifra variabile tra il 15% e il 60% del proprio carico pubblicitario. Tuttavia a differenza dei media classici, che vanno in edicola, la crisi di questo settore è meno grave. Certo la situazione congiunturale non è delle migliori e il calo degli inserzionisti non rischia, a breve, di essere definitivo. Per le riviste consumer, invece il problema è più complesso, con budget importanti la platea di visualizzatori di un messaggio pubblicitario è pericolosamente più ampia rispetto alla tiratura di un magazine, senza contare che dalla pubblicità on-line si possono recuperare molte altre informazioni sul prodotto o sull'azienda semplicemente cliccandoci sopra. L'editoria b2b invece ha investitori particolari, il cui scopo difficilmente è quello di comunicare con l'utente finale (almeno in parte) poiché il grosso del proprio lavoro è quello di sviluppare un buon sell-in all’'interno della filiera. Certo, il fascino di conquistare una platea infinita di lettori tocca tutti e tutti pensano che “internet sia gratis” ma non è così e molti se ne stanno accorgendo. Quindi mi sento relativamente sicuro nell'affermare che, questi investitori, se non trovano delle valide alternative torneranno a investire, magari meno, nella carta stampata e in particolare nell'editoria b2b. Perché fare allora un sito web che abbia anche funzionalità di social network? Perché in questo modo il messaggio che queste aziende vogliono dare ai propri clienti è interattivo, migliore e valutabile dal punto di vista dell'investimento.
Tuttavia, queste piccole aziende, difficilmente si rivolgono ad agenzie di comunicazione on-line e difficilmente intraprendono delle campagne di pay per clic del tipo ad-sense o altri. Questo perché temono di disperdere capitale in una comunicazione non mirata. Tutto sommato meglio la vecchia carta stampata a distribuzione certificata. A mio avviso, quindi, una casa editrice oggi può apportare un importante contributo alla digitalizzazione delle informazioni. Se il modello di business network è ben strutturato, allora può effettivamente portare un valore aggiunto all'azienda che investe in pubblicità. Proprio perché queste realtà non hanno dimensioni enormi, diventa fondamentale avere una rete vendita adeguata e qui, le case editrici b2b possono realmente fare la differenza. Un buon team di agenti che presidiano il territorio e hanno un rapporto diretto con le aziende rappresentano una risorsa unica. Il vero, grande limite, è quello di aggiornare queste figure professionali: non si può mandare a vendere pubblicità on-line uno storico venditore di pagine tabellari o di spazi fieristici. Insomma, come dice uno dei venditori storici del mio gruppo editoriale, per vendere bene un prodotto non materiale bisogna far comprendere all'investitore il valore aggiunto che il servizio porta alla sua società. Certo, magari, la parte di banner può anche essere venduta con un concessionario internet, tipo Google, ma i servizi più complessi, che possono rappresentare la vera alternativa di guadagno, devono essere venduti separatamente e personalmente a ogni singolo potenziale investitore. Un business network non può essere al traino di un concessionario e di campagne pay per clic omologate e standardizzate sul consumer: serve una dinamicità diversa, completamente push sul commerciale e accattivante per il cliente.

martedì 21 luglio 2009

Social Network nel settore Food

Da quando ho aperto questo blog, con l'idea di creare un piccolo gruppo di discussione sui social network e il futuro della comuncazione trade, o b2b, sono stati in molti a scrivermi commenti e segnalarmi propri siti di carattere sociale o business. Per ogni segnalazione sono andato a vedere i siti che mi venivano proposti e ho cercato di giudicarli in maniera più distaccata possibile. Nonostante il blog sia relativamente recente, grazie a queste segnalazioni mi sono potuto fare un'idea più precisa del concetto di "social network", non solo. La definizione classica di social network ha assunto, nelle mie varie pellegrinazioni un significato via via più restrittivo, creando, nell'universo delle relazioni, dei sottogruppi che reputo importanti. Qualche anno fa, affermai che fare un convegno sui "blog" era qualcosa di complesso: essendo il blog la massima libertà di espressione dell'individuo, ognuno parla di ciò che vuole, si può al massimo studiare il fenomeno sociologico, più difficile incentrare un discorso di "comunicazione" attraverso i blog. Così oggi la penso sui social network: ha senso parlare di social network? Ogni settore sociale ha le proprie caratteristiche e molti social network generalisti, dove cioè, ognuno fa come gli pare, non riescono ha monetizzare. Il quadro sta però rapidamente cambiando: oggi i social network possono realmente fungere da strumento informativo e di business. 

L'esempio di Vinix
Un esempio lampante è dato dai siti destinati al settore Food. Come accennato anche altrove, in questo settore esistono, già oggi, alcuni siti per la ricerca di ristoranti (di tutti i tipi), come il mangione o due spaghi. Questi due siti, sono veramente validi per l'utente comune che cerca un locale, e può, grazie ai commenti della community, valutarne la qualità. nessun servizio è però offerto alle aziende che si promuovono se non la visibilità. Tra i siti che mi hanno segnalato, invece, c'è ad esempio Vinix, un social network vocato soprattutto al settore enologico, ma che si è furbamente dato come sottotitolo "wine and food social network", abbracciando così, di fatto, tutto il settore food. Oltre alla recensione dei locali, il vantaggio di questo sito è che offre una pubblicità mirata grazie a un sistema chiamato "tag advertising" che ha come obiettivo quello di posizionare la "pubblicità solo sulle pagine che parlano di argomenti attinenti a quello che vuoi promuovere", come cita la pagina di VInix. Questo sito ha, a mio modestissimo parere, almeno un paio di problemi: da una parte l'0inserimento delle schede di presentazione di un locale, possono essere fatte da tutti gli utenti, così mi è capitato di verifcare che alcuni locali, recensiti dai proprietari, sono in netta contrapposizione con i commenti (in buona sostanza ritengo che, i proprietari di un locale debbano esclusivamente compilare una scheda di presentaizione e non debbano poter esprimere giudizi su loro stessi). Dall'altra, la forma pubblicitaria proposta, per quanto mirata è esclusivamente tabellare. 
Il "business network" Foodclub
Un po' meglio, va con un nuovo sito destinato al settore: Foodclub da poco lanciato dal colosso Reed Business. Questa multinazionale è, infatti, una della maggiori case editrici b2b al mondo e ha da tempo iniziato a scandagliare il settore web come alternativa agli introiti della carta stampata. Nell'ambito del social networking ha lanciato già un paio di siti di cui uno già destinato al settore food (la brigata), ma è con questo nuovo prodotto editoriale che, a mio avviso, è stato fatto un piccolo passo avanti nel settore dei "business network". Il sito, infatti, ha un forte orientamento consumer (è possibile geolocalizzare locali e leggerne le recensioni) ma anche un anima b2b. Oltre alla possibilità di proporre il proprio pdv, il negoziante ha accesso a numerose notizie, nonché la possibilità di entrare in contatto con i propri fornitori. Questi ultimi hanno la possibilità di veder recensiti i propri prodotti e garantirsi una buona visibilità con i propri clienti finali che, essendo registrati, sono più facilmente monitorabili.
Questa è dunque la formula definitiva del business network? Personalmente ho rilevato almeno un paio di migliorie possibili del sito (non me ne vogliano i colleghi di Reed). Da una parte, infatti, i prodotti proposti dalle aziende non sono commentabili, un bel disservizio in ottica 2.0.
Certo, le aziende inserzioniste non saranno mai contente di vedere giudicato, magari, il proprio "forno per panifici", ma la forza dei social network è proprio l'interattività e quindi, la possibilità di avere un feedback dagli altri utenti. Dall'altra, un motivo di confusione può derivare dalla commistione tra la parte "professionale" e quella "pubblica". Mi spiego. Nel 99% dei casi, il navigatore internet entrerà nel sito con una landing page di prodotto o di un locale. Se trova l'informazione cercata a questo punto vorrà navigare il sito, ma rischia di trovare tante informazioni che non sono di suo interesse. Il navigatore professionle, invece, si presuppone (forza del commerciale) che affettui la registrazione al sito ed effettui il log-in ogni volta che arriva sul sito, un po' come avviene con linked-in o facebook. In questo caso però, una volta entrato, ha accesso alle stesse informazioni che aveva prima (salvo la possibilità di fare domande o essere interattivo per commenti e altre funzioni), un po' poco.
Il futuro dei social network?
Ho citato questi due siti (e ne ho espresso qualche commento ovviamete opinabile e personale) per un motivo sostanziale, che poi è la base del ragionamento che mi preme. Molti siti e social network si stanno specializzando, e in ogni settore si stanno migliorando delle formule di aggregazione tramite network. Ma solo prendendo il caso in esame, il settore Food, si può facilmente notare come esistano già vari social network (ce ne sarebbero da citare anche altri) oltre che siti di vendita diretta (vedi, ad esempio, Egnam) probabilmente destinati a fondersi in uniche entità che faranno tutto. La forza di un social netwrok, tuttavia, è proprio data dal numero di iscritti, e questi setttori, come il food, hanno numeri basi di utenti professionali (almeno se comparati con le logiche internet di eCPM ed eCPC). Non solo, mentre a livello cartaceo è possibile segmentare il mercato tra più editori (un ristorante può rivcevere anche 6 o 7 riviste e magari sfogliarle tutte) difficilmente si è attivi su più di un social network (o almeno, si può essere presenti su tutti ma attivi su uno) e gli introiti pubblicitiari possono essere realizzati solo se c'è una relativa atività sul sito.
In buon asostanza il problema credo che la guerra tra social network specializzati sia destinata a crescere rapidamente nel breve periodo e che, con il passare del tempo, forse, gli editori riconsquisteranno una buona fetta di mercato.

 Aggiornamento 7/7/2010
Mi segnalano oggi il nuovo social network Geomercato un nuovo social network destinato all'acquisto di prodotti a chilometri zero. Si tratta di una iniziativa chiaramente B2C ma che può creare una buona sinergia tra i produttori. Un bell'esempio che speriamo dia i suoi frutti.

domenica 5 luglio 2009

Come creare una banca dati per social network

Nell'ottica di creare un “business network”, con il gruppo di lavoro con cui ci occupiamo della parte tecnica (composto dal sottoscritto e dal'informatico della casa editrice), il primo problema da affrontare è stato quello della strutturazione di una banca dati efficiente per lo sviluppo di un social network rivolto al b2b.
La scelta iniziale è stata quella di valutare se il social network dovesse essere un unica piattaforma o dedicato alla singola linea editoriale. La scelta è stata quella di selezionare una singola rivista perché, a nostro avviso, solo in questo modo, si può venire incontro alle esigenze dei professionisti che operano in un determinato settore. La mia personale esperienza diretta, infatti, (curo tre magazine che si occupano di settori differenti) mi ha insegnato che ogni categoria professionale ha attori specifici e problemi di comunicazione propri, ragion per cui, dinamiche che vanno bene, ad esempio, nel settore medicale non possono essere applicate al settore food. Ogni settore ha proprie caratteristiche commerciali e di vendita, ragion per cui ogni singolo comparto necessita di strumenti adeguati. Il secondo problema che ci siamo posti è stato quello di creare una banca dati altamente flessibile, per poter rendere il social network facilmente modificabile, anche in corso d'opera, senza creare disagi per gli utenti.
Il problema maggiore che ci siamo trovati a dover risolvere riguarda il tipo di struttura che abbiamo in mente. Partendo dal presupposto che differenti attori della filiera distributiva di un comparto hanno bisogno di informazioni differenti, ma soprattutto, devono poter compiere azioni, all'interno del social network, differenti, abbiamo stabilito che l'unico database condiviso da tutti fosse esclusivamente l'anagrafica. A questo punto, grazie a un ampio utilizzo di puntatori (se il mio informatico legge queste pagine mi dice che sono un dinosauro dell'informatica) sono state cerate una serie di banche dati autonome ed espandibili, divise per caratteristiche dei dati e per i controlli abilitati a ciascun livello.
Una banca dati separata, invece, servirà per veicolare la messaggistica interna e le comunicazioni istituzionali, che nella maggior parte dei casi sono articoli dedicati ai professionisti del settore. Anche in questo caso un sistema di labelling consente di legare i post/articoli a singole categorie di utenti (in base al ruolo ritenuto rilevante per loro, ma stiamo studiando come rendere la cosa interattiva) e, nel caso di recensioni di prodotto, all'azienda produttrice, così da creare uno storico degli articoli dedicati all'azienda. Punto fondamentale del network è la possibilità di commentare i prodotti recensiti (o catalogati in banche dati prodotti e accessibili con motori di ricerca interni). In questo caso, l'accesso al commento è effettuabile solo previa autenticazione e, in base a una serie di controlli inseriti a vari livelli delle banche dati, l'attivazione dei commenti è consentita solo a quelle categorie di utenti in grado di giudicare effettivamente i prodotti (ne risultano quindi esclusi, ad esempio, le aziende concorrenti e tutti gli iscritti sotto il suo ombrello, cioè i dipendenti, e gli utenti che approdano sul sito come esterni).
La stesura di una banca dati coerente ed efficace rappresenta, nella nostra idea, la colonna portante del progetto, ragion per cui mi sento di poter chiedere tranquillamente a chiunque suggerimenti o consigli.

Ancora sui business network

Prendo spunto da uno dei commenti fatti all'ultimo post, da social network a business network per approfondire in maniera maggiore cosa intendo per business network e perché questa formula dovrebbe, secondo me, garantire una rimuneratività rispetto al classico advertising. Nella mia personalissima concezione, e premetto che non sono ne un esperto di internet ne un guru del web 2.0, difficilmente un social network può garantirsi risorse sufficienti per vivere se punta esclusivamente sulla pubblicità intesa come banner. La domanda quindi è quella di porsi sì, dalla parte dei lettori, cioè pensando dei contenuti che possano essere accattivanti ma anche quello di pensare alla logica dell'investitore. Internet ha infatti imposto un modello completamente innovativo di pensare la comunicazione, in particolare quella trade. Se fino a ieri tutti puntavano su un modello leggermente empirico di pubblicità che enfatizzasse quasi esclusivamente il brand awarness e alla comunicazione passiva con l'utente, oggi tutte le principali agenzie media propongono campagne misurabili: campagne pay per clic o di impression sono all'ordine del giorno e il cliente investitore si aspetta di poter misurare il risultato del proprio investimento. Cosa centra il modello di business network? C'entra, perché oggi le case editrici b2b sono tra i pochi soggetti che dispongono di importanti database di professionisti di riferimento (anche se molti altri attori si stanno affacciando sul mercato, compresi i social network). Il valore aggiunto del riuscire a coinvolgere direttamente i clienti primari delle aziende non è quello di proporre delle campagne standardizzate. Per fare un esempio, esistono siti specializzati per idraulici, cuochi, avvocati e tanto altro ancora, ma questi professionisti, presi per una singola categoria, quanti sono? Se non vado errando (corregetemi se sbaglio), in Italia ci sono circa 15.000 negozi di ferramenta. Se un cliente vuole proporsi solo a questo tipo di categoria merceologica, quanto dovrebbe investire? E ancora, come può essere sicuro che i visitatori di un sito siano, effettivamente, tutti professionisti di questo settore? Se però si struttura un social network di ferramenta il cui accesso è consentito tramite autenticazione, allora si può stabilire con certezza quanti siano i visitatori interessanti per l'azienda inserzionista. Tuttavia, anche in questo caso, le campagne di impression non potrebbero mai portare a grandi entrate. L'idea quindi potrebbe essere quella di proporre degli investimenti pubblicitari differenti, fatti, anche questi, in un’ottica due punto zero. Avendo un database strutturato di professionisti di una determinata zona, ad esempio, si può pensare di vendere delle campagne sotto forma di avviso di un determinato evento, magari prendere anche le registrazioni e monetizzare il tutto in una campagna “adesioni”. Oppure in una zona riservata del social network si possono proporre delle recensioni di prodotto, ovviamente commentabili e valutabili dagli utenti professionali e vendere all'azienda un link dedicato per la richiesta di un preventivo personalizzato per le aziende trade. Le idee sono molte, ma volevo sapere cosa ne pensate e, nel caso aveste altre idee, vi prego di pubblicarle nei commenti, questo vuole essere uno spazio aperto a tutti.