lunedì 4 maggio 2009

Editoria, web e professione giornalistica: il futuro non è alle porte


Che il sistema informativo mondiale sia destinato a cambiare sembra essere un fato di fatto. Non è possibile pensare che i ricavi della pubblicità riescano a compensare le spese che un giornale è chiamato a sostenere in termini di personale, inchieste, strutture e, perché no, idee. Il problema è stato analizzato da molti, lo so, ma il punto è che nessuno, finora, ha trovato soluzioni convincenti, dei modelli di business che riescano a compensare l'emorragia economica che sta investendo quotidiani, mensili, settimanali, riviste specializzate e tecniche. Il problema dell'editoria non mi sembra differente da quello di altri settori industriali: troppi attori, troppa produzione. Ma il problema editoriale presenta una peculiarità aggiuntiva rispetto allo stallo capitalistico in cui si trova l'economia globale: se il settore delle automobili crolla perché sovradimensionato rispetto alla domanda ci sarà un ridimensionamento della produzione, alcuni attori spariranno e, forse, in un futuro prossimo si arriverà a quanto ha previsto qualche tempo fa l'ad di Fiat Auto Marchionne, cioè una selezione durissima degli attori in grado di fagocitare i più piccoli e costituire pochissimi poli di produzione con alti volumi. Se questo sarà il futuro dell'industria manifatturiera, cioè la concentrazione dei volumi nelle mani di pochi, lo si vedrà nel breve o medio periodo, ma l'idea di base non è pellegrina, nasce da alcuni importanti presupposti: la produzione richiede investimenti importanti in infrastrutture e persone, specializzazione e formazione delle maestranze. Che c'entra tutto questi con l'editoria? Niente, o per lo meno molto poco. Un'ipotesi analoga, infatti, può forse essere posta a livello di produzione di media cartacei. La carta non morirà in breve tempo, i tempi sembrano, qualora dovesse realmente accadere, molto più lunghi rispetto ai necrologi e coccodrilli scritti sul web da migliaia di blogger o di giornalisti. Ma la carta rappresenta un costo inderogabile e oggi, a spartirsi la torta pubblicitaria sono molti, forse troppi attori nel mondo. Chi avrà la forza resisterà, magari si riadatterà con modelli più snelli ed efficaci, probabilmente mixando la produzione cartacea con le risorse web.
Il web. È qui che il sistema viene a cadere. È vero, oggi si parla di citizen journalist, di persone pronte a dedicare il proprio tempo all'informazione collettiva, al bene comune. Di per se, si tratta di uno scenario positivo: la condivisione dell'informazione fa crescere la società e la maturità sociale, ma in tutto questo l'editoria, che ruolo avrà?
Gli introiti pubblicitari non sono più destinati a pochi e ben riconosciuti attori, il capitale investito nella comunicazione si sparge con un effetto a macchia d'olio sul web e chi cerca di afferrare questo “oro nero” se lo vede scivolare facilmente dalle mani in funzione di piccoli attori, dai grandi numeri.
Quali sono i rischi di questa situazione? Chi è deputato a fornire informazioni valide e certe? Chi pagherà i giornalisti di domani?
Oggi tutti si pongono questa domanda e alcune soluzioni sono già state messe in campo: c'è Al Gore, che grazie al citizen journalism riesce a captare una quota di investimenti pubblicitari tali da finanziare inchieste sul campo nei luoghi più remoti, c'è l'Huffington post, che aggregando notizie dai grandi media può permettersi tre redazioni sparse negli Stati Uniti. Non solo America, anche in Europa alcuni esempi positivi sono riusciti a pagare una parte di spese, specialmente grazie all'utilizzo di blogger stipendiati, la cui figura mi risulta, francamente, difficile da scindere rispetto a quella del giornalista freelance o di redazione. Ma il web ha anche posto nuovi e interessanti quesiti. Per quanto riguarda i quotidiani, ad esempio, e le notizie, diciamo così “main stream”, il problema è relativo alla sorgente di tali notizie. Se aggregando le notizie provenienti dai principali mezzi di comunicazione si creano ottimi siti internet di informazione, è anche vero che questa operazione andrà mano mano a erodere i margini del produttore primario, portandolo, lo abbiamo già visto, in alcuni casi, anche al fallimento. ma se non ci saranno più notizie “primarie”, quali notizie si aggregheranno? Banale. Non solo però, il marketing 2.0, quella tecnica per cui i propri prodotti possono essere posti all'attenzione dell'utenza attraverso la rete, in maniera diretta, porterà inevitabilmente un impoverimento delle casse dei giornali e media tradizionali, con un netto spostamento dei capitali verso blog, forum, community e mobile web. Una possibile ecatombe, anche perché l'informazione pubblicitaria sarà sempre più collegata e implementata con l'informazione. Ma se editore e giornalista sono destinati ad essere la stessa persona chi controllerà la qualità delle informazioni? Probabilmente sarà la stessa rete ad autoregolarsi: il web è una forma di democrazia evoluta, se un post, un commento, una descrizione di un prodotto non piacciono o sono ritenute poco oggettive il decreto è rapido, il sito perde visite e i giudizi negativi imperversano.
Chi sono gli editori del futuro? Sono già qui. pochi se ne sono accorti, ma non è un caso se i più grandi introiti pubblicitari del mondo web sono detenuti da tre attori come Aol, Msn finance e Yahoo finance. Tre nuovi editori che non propongono giornali o riviste, ma piattaforme. Così come, in breve tempo diventerà Google, una piattaforma, anzi, molto probabilmente La Piattaforma. Che differenza c'è tra un editore tradizionale, che mette a disposizione di un direttore e del suo staff giornalistico un mezzo come la carta stampata, certo comprensiva di strutture e processi costosi rispetto a chi mette a disposizione di una redazione on-line una piattaforma informatica fatta di bit e un posizionamento nei motori di ricerca? La Torta è troppo piccola per gli attori che popolano il web. La pubblicità non può stipendiare l'intera filiera, che, per inciso, va dal gestore telefonico fino al fornitore di software.
Qualcuno deve togliersi di mezzo, oppure qualcuno deve rinunciare a una fetta della torta, ma chi è disposto a rinunciare a qualcosa oramai dato per consolidato? Non gli utenti, abituati a non pagare per consultarle notizie on-line, non i gestori telefonici, veri depositari dell'accesso al web, ne gli autori, che fino ad oggi hanno lavorato con stipendi discreti, ne, ovviamente gli editori.
Quale sarà il risultato è difficile prevederlo, ma il rischio è che abbiano peso, nel futuro del web, solo le notizie in grado di generare ricavi.
C'è poi un ultimo aspetto che mi piace affrontare, e di cui troppo poco spesso si parla ragionando sull'editoria e sul web. Le notizie on line, non si esauriscono con la loro messa in onda, così come avviene con i giornali e i telegiornali. Esse rimangono a lungo tempo nel web, anche un tempo potenzialmente infinito, continuando a generare, magari, reddito e di conseguenza a salire nel ranking dei motori di ricerca vista la rilevanza che hanno nei confronti di una determinata frase di ricerca. Così in futuro, tranne che i prodotti e notizie altamente innovative ci sarà ancora spazio e, forse, visibilità, mentre per tutto ciò che non è indicizzato è destino che si paventi l'oblio. Il punto è, chi è depositario di questo immenso potere, chi è l'editore supremo? Probabilmente Google, il motore di ricerca più utilizzato al mondo, home page di miliardi di pc e in grado di rilevare, grazie a un algoritmo, la rilevanza di una notizia rispetto a quanto cercato. Oggi, quindi, tutti gli editori, i giornalisti, chi utilizza il web deve porsi una domanda: chi è l'editore? se storicamente l'editore è colui che detta la linea editoria allora l'editore è Google, le cui stamperie sono i provider e i giornalisti quelli che oggi chiamiamo editori. C'è una metafora che mi è sempre piaciuta da quando faccio il giornalista: il direttore di una testata ne è il re, un re pagano però, messo lì dal volere di un dio. Quel dio è l'editore, che può decidere la vita e la sorte di ogni giornale. Oggi dio è Google, un dio potentissimo e unico, perché a differenza dei vari giornali è da solo a detenere il potere. La diatriba quindi potrebbe essere se la società è pronta a un sistema con un dio unico e potente a dominare il mondo e posto in alto a guardare gli uomini editore scannarsi tra di loro senza intervenire e un sistema più pagano, con tanti piccoli dei, ognuno dei quali, in fondo innocuo e litigioso, che provano a scalare l'olimpo del sapere?

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